Camel Live at the Royal Albert Hall

Dopo la celebrazione del capolavoro “The Snow Goose” i Camel ripropongono a distanza di quattro  anni l’esecuzione completa  di “Moonmadness”, titolo  che chiude il trittico iniziato nel ‘74 con Mirage. Sarebbe stato un sogno poter partecipare all’evento, come feci quattro anni fa in quel di Vicenza, di cui porto ancora le vibrazioni sulla pelle. Purtroppo il Cammello questa volta ha deciso di non visitare il nostro Paese, strana scelta per una progressive band anni ’70, dato il buon seguito di fan italiani per questo genere di musica. Rimane comunque la magia dell’esibizione live alla Royal Albert Hall di Londra, tempio sacro della musica.

L’intro “Aristillus”, prima ancora della comparsa dei protagonisti sulla scena, è imponente: pochi minuti di organo dal suono cristallino e dilatato pervadono l’atmosfera di note spaziali. Scritta dal geniale e compianto Peter Bardens, il pezzo di apertura spiana la strada ad un classico della band “Song Within A Song”: un tappeto di tastiere e sintetizzatori e un morbido arpeggio di chitarra, conducono lentamente verso la parte centrale dove irrompe la Gibson di Latimer, ruggente e delicata in un equilibrio che solo lui riesce a trovare. I quattro musicisti si trovano a meraviglia, ma a sorprendere è soprattutto l’innesto del polistrumentista non vedente Pete Jones, vocalist di tutto rispetto. La strumentale “Chord change”, dalle sfumature jazz-fusion e molto complessa dal punto di vista compositivo, non aggiunge nulla di nuovo alla versione da studio; rimane come sempre un pezzo iconico della bravura della band e del leader. Un Colin Bass emozionato ed emozionante ci regala la malinconica “Spirit Of The Water”, accompagnato al flauto dall’impeccabile Andy mentre “Another Night” sorprende per un groove distorto di chitarra e un sound decisamente aggressivo che poi si risolve magnificamente nel dolce refrain in pieno stile Camel, cantato dal tastierista Jones. E’ palpabile l’affiatamento della band. Spesso Andy si muove verso Colin, cerca il duetto durante la performance, coinvolgendo il batterista Denis Clement. I tre regalano momenti di grande impatto visivo e in questo sono agevolati dalla scaletta naturale dell’album che alterna momenti vivaci a sonorità morbide canterburiane. E’ ancora Andy a introdurre la dolce “Air Born” cantata magnificamente da Pete Jones.  Arriviamo così, senza quasi accorgercene, alla finale “Lunar Sea”, monumento del progressive strumentale. Le atmosfere siderali ci rapiscono, il preludio ad un mare lunare dove il tempo sembra fermarsi e il suono pare avvolto in un involucro metallico. E’ un pezzo che va ascoltato ad occhi chiusi, che ci intrappola e ci lascia in sospeso nella consapevolezza che qualcosa da un momento all’altro possa mutare. Ed è ciò che succede, perché dopo le morbide tastiere, prende forma un ritmo incalzante di batteria che apre una prateria alle chitarre affamate di Andy che iniziano a dominare la scena tra virtuosismi spericolati e soluzioni armoniche intelligenti fino a che, placata la propria ira, il brano chiude come aveva iniziato, con le atmosfere eteree e siderali di un mare lunare.

Dopo diversi minuti di pausa e una folla in delirio, i nostri ritornano sul palco più agguerriti che mai e ripartono con una interessante “Unevensong” del periodio jazzy di Rain Rances e subito dopo  con la bellissima “Ymn To Her” estratta da I Can See Your House From Here, un album che non amo particolarmente per la pericolosissima tendenza pop di quegli anni. Il brano è invece uno dei più complessi dal punto di vista chitarristico, spesso viene riproposto live anche per mettere in mostra le grandi doti del frontman. “End Of The Line “ è cantata quasi esclusivamente da Pete, scelta molto azzeccata perché il suo timbro ben si addice al tema intimista del disco Dust And Dreams. Un brano riuscito soprattutto per le capacità canore del tastierista ma anche  per l’arrangiamento che ne dà un tocco moderno e in parte lo rivaluta più di quanto non lo faccia la produzione dell’album di origine.  Ancora il chitarrista in grande spolvero con la lunga e travolgente “Coming Of Age”, poi seguono dieci minuti che oserei dire indimenticabili. Con coraggio Andy va a cantare una delle più belle perle della discografia dei Camel: “Rajaz”. Qui sta la grandezza della band, comporre un brano di questa intensità e di questa potenza evocativa, al tramonto, se così possiamo dire, della carriera musicale. Era il 1999.  Più che una canzone è una poesia: il canto dei nomadi che attraversano il deserto con i loro cammelli. E’ toccante vedere come Andy crede in quello che dice, in quello che fa, del resto la coerenza è la sua dote migliore dopo la capacità chitarristica. I segni del tempo e l’emozione del brano deformano ancor più il suo volto e ciò che trasmette è un amore viscerale verso la musica. Pete si occupa del solo del brano, reinterpretando le malinconiche note di chitarra di Andy e regalando altre piccole gemme. Sono 5 minuti di emozioni pure, condensate nel sudore che cade a gocce sul suo sax. In piedi i suoi occhi guardano lontano, pur non vedendo, mentre Andy da istrione invita il pubblico a seguire con il battito delle mani il ritmo cadenzato del cammello. Il brano termina con il pubblico in delirio e i musicisti in estasi emotiva.

Non è finita qui perché dopo pochi minuti, il tempo necessario per riprendere fiato, Pete introduce al piano le famose note oramai indimenticabili  di “Ice”, spiegando che è stato il pezzo con cui ha fatto l’audizione per la band. Andy si riprende la scena e dà letteralmente lezioni di chitarrismo, tra note delicate e assoli furiosi. Il pezzo in questione è un’altra perla storica della band, interamente strumentale. Ci si avvicina così alla fine del concerto con la consapevolezza di aver assistito al più bel live-album pubblicato dalla band inglese. Altri due superbi pezzi estratti dall’album Dust and dreams spesso riproposti assieme con soluzione di continuità: “Mother Road” e “Hopeless Anger”. Il primo viene presentato da Bass che ricorda il tema del disco, un concept album incentrato sulla “grande Depressione” di inizio Novecento, una carestia che mise in ginocchio l’economia agricola dell’ intera America e che spinse molti contadini a migrare ad ovest (Go West) verso la California in cerca di fortuna lungo la “Mother Road”. La melodia è sublime come la voce di Latimer e Bass. Il ritmo incalzante sembra accompagnare il viaggio delle carovane sulle strade sterrate. “Hopeless Anger” è ancora più energica e rabbiosa. Le chitarre dominano la scena, tecnicamente è un brano assai complesso soprattutto dal punto di vista ritmico scandito dall’ottimo Clement dietro le pelli. Sul finire del brano, come un miraggio dopo tanta sofferenza, si ritorna alle melodie tipiche dei Camel. A chiusura del concerto viene proposta la dolce “Long Goodbyes” ma dopo pochi minuti i Camel ritornano sul palco e ripropongono 18 minuti della magnifica “Lady Fantasy”. Ancora con tanta adrenalina in corpo, la band ripercorre in questa suite tutta la loro carriera, una sorta di viaggio a ritroso nel tempo fino al 1974 quando il prog stava forse volgendo al termine della sua breve ma intensa vita, mentre per i Camel era solo l’inizio di una viaggio all’insegna della coerenza. Una carriera che ancora nel 2018 regala gioielli come questo disco immancabile ed emozionante. Grazie ancora Andy!

Lunarsea

 

 

Songs / Tracks Listing

CD 1 (65:15)
1. Aristillus (2:05)
2. Song Within A Song (7:49)
3. Chord Change (7:37)
4. Spirit Of The Water (2:49)
5. Another Night (7:07)
6. Air Born (5:42)
7. Lunar Sea (10:38)
8. Unevensong (7:48)
9. Hymn To Her (5:54)
10. End Of The Line (7:46)

CD 2 (71:25)
1. Coming of Age (8:03)
2. Rajaz (12:23)
3. Ice (9:28)
4. Mother Road (9:29)
5. Hopeless Anger (5:31)
6. Long Goodbyes (11:51)
7. Lady Fantasy (14:40)

Total time 136:40

Line-up / Musicians

– Andrew Latimer / guitars, flute, vocals
– Colin Bass / bass, vocalss
– Pete Jones / keyboards, vocals
– Denis Clement / drums

Releases information

Recorded Live September 17th, 2018

 

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