Semiramis: Frazz Live

Durante il fervente periodo d’oro della canzone italiana, gli anni settanta,  quando il livello della sua musica aveva raggiunto vertici mai più eguagliati, tanto da guadagnarsi addirittura un’etichetta di stile, “the italian prog”,  le idee nascevano ovunque e la sperimentazione era pura normalità. Una tra le tante meravigliose formazioni fiorite da quel fertile humus è la band romana Semiramis, nome che rimanda alla leggendaria regina babilonese Semiramide. Il disco viene alla luce nel 1973 ed è subito chiaro che i musicisti, tra l’altro tutti sotto i 20 anni, hanno doti strumentali e compositive eccezionali. Tra i vari musicisti spicca fra tutti il chitarrista quindicenne Michele Zarrillo, autore della maggior parte delle composizioni. La storia del giovane chitarrista la conosciamo e non vogliamo addentrarci in facili territori denigratori della persona che ha da subito dato una svolta commerciale e solista alla sua carriera musicale, ottenendo facili consensi tra un certo pubblico e rancore verso i tanti appassionati di musica progressiva, soprattutto dopo la composizione di un disco così potente e importante. Ricordiamo comunque anche il fratello Maurizio Zarrillo, vero fondatore della band e il tastierista  Giampiero Artegiani. Ma, ci chiediamo, come è possibile che un disco valutato dalla critica egregiamente sia stato un episodio isolato della band, un one-shot album che forse impreziosisce ancor di più la leggenda della band e ne arricchisce il valore del disco dandone una veste misteriosa. Forse il motivo principale è stata la scarsa attività di promozione del disco e della band che comunque fa la voce grossa anche in importanti festival, come quello famoso di Villa Pamphili a Roma nel ’72. Problemi con la prima etichetta e la defezione, come dicevamo, del chitarrista Zarrillo, che per alcuni anni militerà nella band Il Rovescio della medaglia, deprimono le aspirazioni della band che pur firmando un nuovo contratto con la Basf tedesca non riescono a partorire un secondo disco.

Ma ritornando all’album in questione “Dedicato a Frazz” la maturità artistica è notevole.  Un concept incentrato sul clown psicopatico Frazz (acronimo delle iniziali dei musicisti) nella sua eterna lotta tra l’essere che è e la maschera che porta. Una metafora della vita e dell’essere umano in generale. Nel 2017 Artegiani e Maurizio Zarrillo decidono di ridar vita al clown e pubblicare un live del disco dopo più di 40 anni, per la gioia delle nostre orecchie. Peccato che solo poco tempo dopo entrambi sono venuti a mancare, andando di fatto a far morire anche il progetto live e magari la nascita di un nuovo disco. Artegiani arricchisce la storia di Frazz con degli innesti recitati nella storia all’inizio di ogni capitolo. In La bottega del rigattiere e Luna Park  emergono nitide le grandi doti chitarristiche di Zarrillo che sferra note acide e taglienti, nella miglior tradizione hard-prog per poi inserire innesti melodici con arpeggi di chitarra acustica. Frazz e Clown viaggiano su territori vicini alla tradizione anglosassone, grazie alle tastiere e alla chitarra acustica che evocano scenari anche fantastici e malinconici. Ma nell’album non mancano rimandi anche alla tradizione mediterranea, come nel finale di Clown  che consacra il disco tra i miglior album del genere indiscutibilmente.

“ultima luce su un pagliaccio, solo al centro di sè stesso.”

Lunarsea